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Cambio paradigmatico nel trattamento del cancro

Cambio paradigmatico nel trattamento del cancro pharmaceuticalchemistry.altervista.org

Fino a pochi anni fa la terapia antitumorale era fondamentalmente basata su un tentativo di interferire con l'impiego del DNA da parte della cellula neoplastica. I farmaci citotossici convenzionali interagiscono con il DNA per prevenire la replicazione, ma non hanno specificità per la cellula tumorale. Ci si muove verso terapie mirate, targeted therapies, specificamente verso la cellula tumorale.

I punti nodali per la target therapy:

1. Identificazione di un putativo bersaglio molecolare che sia espresso o attivo, selettivamente, nella cellula tumorale

2. Sopravvivenza e crescita della cellula tumorale dipendono dal bersaglio molecolare Ras nei tumori.

In molti tumori, studiando attentamente, è stato possibile riscontare che qualcuno degli step prima descritti è attivo in maniera indeterminata, svincolato dai meccanismi di controllo. Abbiamo parlato della centralità di Ras nell'indurre la duplicazioen cellulare. Ras è stato uno dei primi bersagli farmacologici a essere studiato per questa riconosciuta rilevanza nella rpoliferazione. In motli tumori Ras è espresso in forma mutata, il che vuol dire che è in qualche maniera resistente all'idrolisi del GTP e una volta che si attiva permane nella sua forma attivata e soprattutto la sua attivazione dipende da una corretta localizzazione in membrana che è conseguente alla modifica della proteina sulla coda C-terminale.

Così come avevamo visto per i recettori accoppiati a proteine G, anche Ras va incontro a questo tipo di modifica: prenilazioni o geranilazione, cioè vengono attaccati degli acidi grassi che sono intermedi nella via biosintetica del colesterolo; questa modifica fa sì che Ras sia massivamente collocata in membrana e quindi immediatamente vicina a recettori per fattori di crescita dove può essere attivata in maniera erronea. La conoscenza di questo meccanismo ha suggerito una strategia terapeutica, quella di interferire nella sua modifica sulla coda C-terminale.

Sono stati ideati inibitori, farnesiltransferasi che impediscono le modifiche del C-terminale di Ras necessarie al reclutamento sulla membrana plasmatica (attivazione):

• composti che competono con il farnesil-fosfato (Lonafarnib, Tipifarnib)

• composti “peptidomimetici” che competono con la sequenza CAAX

• composti ibridi

• inibitori indiretti (formazione dei precursori, statine!)

Attualmente tutti questi sono al vaglio clinico!!!

Di Bella nel suo cockatil di farmaci aveva inserito le statine. In realtà però Ras, che è stato il primo target oncogenico valutato in prospettivo farmacologica, a tutt'oggi ha prodotto pochi (nessuno) strumenti utilizzabili nella terapia antineoplastica. Allora si è spostata l'attenzione sui primi step dell'attivazione recettoriale, per esempio sull'attivazione ligando-recettore e sull'attivazione della funzione catalitica del recettore. Come? Utilizzando anticorpi monoclonali che sfruttando la capacità di riconoscere un antigene consentono di interrompere, mascherare le facce di interazione tra ligando e recettore. Questo però limita anche la raggiungibilità del target, quindi possiamo farlo solo per molecole che si trovano o nell'ambiente extra cellulare o sulla membrana plasmatica. Se vogliamo colpire il signaling all'interno delle cellula dobbiamo creare molecole di piccole dimensioni che possano permeare la membrane e che vadano a interagire con il dominio catalitico del recettore.

Due linee di prodotti farmacologici:

• inib: inibitori delle tirosin-chinasi; molecola che lega e inibisce attività enzimatiche

• umab: anticorpi monoclonali

A partire dal capostipite che Imatinib mesilato che ha come bersaglio Bcr/Abl, c-kit, PDGF-R, altri prodotti: Sunitinib, Gefitinib, Erlotinib.

Dall'altro lato: Trastuzumab, Cetuximab.

Modulazione farmacologica: approcci razionali.

Inibitori dell'interazione ligando/recettore:

• anticorpi monoclonali contro il ligando o il recettore

• composti di sintesi (es: suramina)

• molecole decoy che sequestrano il ligando

L'evoluzione delle tecnologie ha consentito di perseguire questa via in maniera positiva. Un problema essenziale nell'impiego degli anticorpi come farmaci è la risposta immunitaria. Nel caso degli anticorpi questo rischio è amplificato. Quali sono gli anticorpi monoclonali? VEGF è il più potente e specifico fattore mitogeno per le cellule endoteliali. È un fattore di sopravvivenza per le cellule dei vasi neoformati. Induce un aumento della permeabilità vasale, facilitando l'immissione delle cellule neoplastiche nel torrente circolatorio. Gli step innescati dal VEGF nelle condizioni normali di sviluppo sono: proteolisi dell'ECM, migrazione e chemiotassi, proliferazione, formazione del lume, maturazione e inibizione della crescita. Questi si ripetono in maniera amplificata nella trasformazione neoplastica con il risultato di creare degli alberi piuttosto intricati di vasi. Bloccare la neoangiogenesi diventa una strategia fondamentali per ridurre l'aggressività della malattia ed aumentare la sopravvivenza dei soggetti in trattamento. Negli ultimi 10-12 anni sono stati studiati tutta una serie di farmaci che a vario livello fossero in grado di bloccare la via del VEGF. A prevalere sulle varie strategie adottate è stato proprio un anticorpo monoclonale (bevacizumab, nome commerciale AVASTIN®) diretto contro il ligando, il fattore di crescita. Le immunoglobuline vanno a mascherare il ligando impedendo il binding con il recettore, bloccando i meccanismi di angiogenesi.

AVASTIN®: trova indicazione per il trattamento di carcinoma metastatico del colon o del retto, carcinoma metastatico della mammella, carcinoma polmonare avanzato, metastatico o in ricaduta, non a piccole cellule, carcinoma renale avanzato o metastatico, retinopatia diabetica e degenerazione maculare. Bloccare l'angiogenesi non può essere esclusivamente ragione di successo, motivo per cui il bevacizumab viene impiegato in associazioni terapeutiche con altri farmaci che vadano più direttamente a colpire il tumore. Si cerca di sinergizzare i meccanismi che vadano ad intaccare i meccanismi di proliferazione del tumore.

L'Epidermal Growth Facotr può interagire con 4 tipi di recettori diversi. Di questi 4 tipi, quelli da un punto di vista patologico di rilevanza, sono il recettore 1 e il recettore 2 (HER1 e HER2) i quali possono trovarsi sovraespressi o espressi in forma mutata in alcune tipologie tumorali (tumori della mammella e tumori del polmone). Il meccanismo di trasformazione neoplastica in molti casi è semplice: le cellule esprimono grandi quantità di recettore e questa sovraespressione della proteina comporta un affollamento di molecole recettoriali sulla membrana; queste molecole muovendosi in maniera random nel doppio strato tendono a formare dei dimeri in maniera spontanea e quindi a attivarsi indipendentemente dall'interazione col ligando. Conoscendo questo meccanismo si è scoperto che era possibile intervenire sull'attivazione del recettore di tipo 1 per EGF ottenendo dei risultati di una certa rilevanza nella progressione clinica del tumore. Una strategia adottata è stata quella di adottare gli anticorpi monoclonali per impedire l'interazione con il ligando.

Due anticorpi già in terapia: cetuximab e panitumumab.

Uno è un anticorpo monoclonale originariamente prodotto nel topo e poi umanizzato, c'è una percentuale della sequenza amminoacidica che è di origine murina (7%), l'altro è un anticorpo umano (100%). Questi farmaci vengono impiegati nel trattamento dei tumori del colon-retto, come sempre in associazione alla terapia citotossica. Il recettore HER2 è espresso negli adenocarcinomi, tumori della mammella. Questi tumori originano da un tessuto che è ormone-dipendente. Quindi una prima stratificazione che si fa delle pazienti affette da questo tumore è vedere se il tessuto esprime o meno recettori per gli estrogeni. In caso di espressione positiva la terapia di primo approccio viene fatta con antiestrogeni. Molto spesso questo tipo di terapia finisce di avere effetto nel trattamento cronico oppure all'inizio il tumore si mostra negativo per il recettore degli estrogeni. In questo caso si trattano i soggetti con un anticorpo monoclonale rivolto contro i recettori. Questo recettore è sovraespresso in 1/5 delle pazienti e il trattamento del trastuzumab è entrato a far parte dell'armamentario farmacologico avendo un impatto importante sia sull'aspettativa di vita sia nel ridurre della metà il rischio di recidive.

In quali casi questo tipo di terapia (blocco del recettore) si manifesta inefficace?

Nel caso in cui le cellule neoplastiche sviluppino delle mutazioni aggiuntive a carico degli effettori. Se blocco un evento di membrana (interazione ligando-recettore) blocco l'attivazione del recettore e ottengo l'effetto terapeutico, ma se nell'evoluzione del tumore gli effettori a valle del recettore subiscono delle mutazioni attivanti il mio intervento a livello di membrana diventa inefficace. Una di queste mutazioni che rendono a ragione la resistenza agli anticorpi monoclonali sono le mutazioni sulla proteina Ras (k-ras) che diventa un marker prognostico, decisionale sul tipo di terapia.

Gli anticorpi monoclonali consentono di interrompere il segnale proliferativo innescato a livello di membrana. Una limitante a questo tipo di approccio è la capacità da parte del tumore di evolvere e di fare a meno del primo step che è quello dell'interazione ligando-recettore sulla membrana, attivando la funzione di recettori down-stream di proliferazione. Esistono mutazioni che hanno un senso prognostico negativo. Si è scoperto che i meccanismi di resistenza dipendono da mutazioni di effettori. Uno di questi nella maggior parte dei casi è la mutazione sulla proteina Ras.

Modulazione farmacologica dei segnali innescati dai fattori di crescita: approcci razionali .

Molecole che interagiscono con il dominio catalitico del recettore o di effettori a valle: 

• analoghi naturali della tirosina, (erbostatina, quercetina) o tirfostine (prodotti di sintesi derivati da molecole naturali) e combinazione tra trifostina e isochinolinici che mimano la tirosina coordinata all'ATP)

• peptidi “pseudosubstrati” (di scarsa prospettiva terapeutica)

• le amino-fenilpirimidine, analoghi strutturali, non idrolizzabili dell'ATP (imatinib, nilotinib, dasatinib)

La strategia emersa e attualmente è dominante nella sintesi di nuove molecole con prospettiva terapeutica è quella di creare degli analoghi strutturali dell'ATP caratterizzati dall'impossibilità di essere utilizzati come donatori di gruppi fosfato, non idrolizzabili. Questo ha aperto un capitolo della ricerca farmacologica con l'ingresso di molecole, analoghi delle ammino-fenilpirimidine.

GLIVEC®: il mito del “magic bullet” diventa realtà.

Il GLIVEC® è l'imatinib. La storia fortunata dello studio, evoluzione, sviluppo e applicazione clinica di una molecola nata per colpire un target selettivo della cellula oncologica. Esistono tumori causati da una singola alterazione, dall'attivazione di un singolo gene, uno di questi è una leucemia:

LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA.

Caratterizzato da una crescita massiva e da una instabilità genetica di un clone di cellule derivanti da progenitori ematopoietici. Si tratta di cellule immature che per l'elevata instabilità genetica vanno incontro a un riarrangiamento, a una traslocazione reciproca di materiale genetico tra due cromosomi. Questa traslocazione comporta lo sviluppo della leucemia mieloide cronica che rappresenta 1/5 di tutte le leucemie. La quasi totalità dei pazienti affetti presenta un segno patognomonico preciso: il cromosoma philadelphia (Ph+). È una patologia che colpisce le fase avanzate della vita ed è caratterizzata da tre fasi cliniche. Generalmente il paziente si presenta alle prime indagini in una fase cronica-persistente in cui la sintomatologia è limitata e molto spesso si va dal medico per disturbi limitati che riguardano la tendenza a fare infezioni o per la presenza di edemi alle estremità inferiori, per elevata tendenza a sanguinare, eccessivo sanguinamento gengivale, ecc. Questa fase può durare alcuni anni e ha come unico elemento di sospetto un'alterazione degli indici di laboratorio, soprattutto per quanto riguarda la conta dei leucociti che è molto elevata. In questi soggetti sono presenti anche dei blasti immaturi in una percentuale limitata. Dopo questa fase cronica che presenta dei disturbi di entità limitata si evolve verso una fase accelerata: le conte ematiche aumentano, aumenta la quota di cellule immature che sono l'espressione di una eccessiva proliferazione delle componenti immature e di un mancato differenziamento; queste componenti raggiungono il 20% del sangue. Questa fase accelerata ha un lasso temporale può durare alcuni mesi e precipita nella crisi blastica. C'è un azzeramento delle componenti mature del sangue, ci sono quadri di anemia e piastrinomenia, e una totale anergia nei confronti delle infezioni batteriche. In più il sangue è totalmente popolato di cellule immature. Questa è l'espressione di una prevalenza della componente di cellule leucemiche sulle cellule ematopoietiche sane: tutto il midollo ematopoietico è stato alterato nella sua funzione e produce solo cellule neoplastiche.

Questo tipo di patologico che nella crisi blastica conduce a morte in tempi rapidi, fino all'avvento del GLIVEC® veniva trattato con un cocktail di chemioterapici che andavano a creare danni al DNA delle cellule neoplastiche con l'obiettivo di indurne il suicido apoptotico. Questo in realtà serviva a prolungare il decorso della patologia che poteva essere curato solo in un numero limitato di casi con il trapianto di midollo. La patologia si sapeva essere associata a questo riarrangiamento dei cromosomi: in particolar modo dei cromosomi 9 e 22. Per eventi ancora non chiari, nei precursori della sintesi di cellule ematopoietiche si ha una traslocazione tra questi due cromosomi. Qui si forma un gene chimerico: metà del gene, la metà 5', deriva dal gene Bcr (break point clust region); l'altra metà deriva dal cromosoma 9. Abbiamo sintetizzata a partire da questo gene una proteina che possiede un N-terminale dipendente dal gene Bcr e un C-terminale dipendente da Abl.

La porzione N-terminale di Bcr codifica per dei domini di interazione tra proteine. In pratica si viene a creare una chinasi costitutivamente attiva ed essa stessa dotata di adattatori per interagire con i substrati, quindi è una chinasi con una capacità illimitata di fosforilare substrati. Purtroppo i substrati fosforilati da questo chinasi sono responsabili poi di comportamenti biologici che favoriscono la trasformazione neoplastica. Sono cellule che non rispondono ai segnali apoptotici. In questa patologia si conosce il ciclo molecolare che porta alla trasformazione e il presupposto fondamentale per arrivare alla target theraphy è capire cosa porta al processo neoplastico. In questa patologia tutto dipende da questa proteine, quindi dall'oncogene. Lo studio partì agli inizi degli anni '90 e intorno al '93, quindi molto rapidamente, fu identificata una 2-aminofenilpirimidina capace di inibire in maniera selettiva la proteina Bcr/Abl. Con un IC 50 0,1microM. Gli studi preclinici danno una risposta importante, quasi entusiasmante, tale da consentire il passaggio direttamente verso la sperimentazione clinica. Nel maggio 2001 (8 anni dopo la scoperta) il farmaco entra in commercio e rispetto alla vita di un farmaco dalla sua scoperta all'applicazione clinica, rappresenta un caso particolare. Il farmaco viene prescritto per somministrazione orale, altro fattore importante. Le concentrazioni sono ben tollerate, gli effetti collaterali sono di minima entità. La terapia è efficace in tutti gli stadi clinici prima identificati e addirittura porta a remissione nell'85% dei pazienti in fase cronica. Il rimanente 15% sono quei soggetti che hanno una resistenza all'inizio.

Altro dato importante: la quasi totalità dei responders presenta un controllo duraturo.

Purtroppo il grande entusiasmo esploso all'ingresso del farmaco in terapia dopo alcuni anni viene mitigato dal fatto che l'evoluzione di questi soggetti è verso lo sviluppo di forme resistenti. Esistono dei nuclei di cellule leucemiche, minimal residual desease, che non viene del tutto eradicata, rimane nel midollo ematopoietico di questi soggetti, e trattandosi di cellule con elevata instabilità genetica, possono nel tempo sviluppare delle patologie accessorie che riaccendono la malattia: queste recidive si manifestano come forme resistenti.

Con quali mezzi? Riattivazione di Bcr/Abl per mutazioni puntiformi (laT3151 è quella refrattaria alle target therapies) che alterano il binding con il farmaco (ridotto da 3 a >100 volte). Inoltre amplificazione genica: queste cellule creano nuovi alleli del gene Bcr/Abl e producono grandi quantità dell'oncogene. Ciò porta alla selezione di un reservoir insensibile in fase di Minimal Residual Disease (cellule staminali cancerosi quiescenti). Nel caso ci sia totale refrattarietà si ritorna alla vecchia terapia con induttori del danno al DNA, negli altri casi si può passare a farmaci di seconda linea.

Partendo dall'esperienza fatta col GLIVEC è possibile capire la ragione della diminuita affinità tra Bcr/Abl e i farmaci e ideare degli analoghi che possano superare questo tipo di resistenza. Questo approccio ha portato alla sintesi di inibitori (nilotinib, dasatinib). Altra via è quella di creare inibitori ibridi che possono inibire anche altre chinasi che sinergizzano con Bcr/Abl nel processo neoplastico.

Il GLIVEC® non rappresenta un inibitore esclusivo di Bcr/Abl. In realtà a concentrazioni vicine a quelle a cui inibisce l'oncogene è in grado di inibire dei recettori per fattori di crescita: in particolar modo il recettore per lo SCF) e PDGF-R.

Indicazione per il trattamento di:

• GIST (tumori del tratto gastrointestinale)

• Tumori polmonari

• Tumori prostatici

• Tumori cerebrali

Il recettore Kit, attivato dal rispettivo ligando, abitualmente induce proliferazione, sopravvivenza, adesività, invasione. L'imatinib è in grado di interagire col dominio catalitico del recettore bloccando il meccanismo di trasformazione. Non tutti i soggetti affetti da una patologia tumorale collegata all'azione di un target del GLIVEC® sono egualmente responsivi al farmaco. Nel caso di soggetti affetti da tumori dipendenti dal recettore Kit i meccanismi di attivazione di questo recettore sono diversi, generalmente connessi a delle mutazioni in vari domini del recettore. Alcune di queste mutazioni sono più rare, altre più frequenti. Oltre a una valutazione epidemiologica, che ripercussione hanno questi dati? Esistono mutazioni, come quella sull'esone 11 del recettore, che rendono il target più responsivo alla terapia. Questo suggerisce uno studio molecolare del paziente. Prima di decidere se usare un farmaco nella terapia è importante fare una stratificazione dei soggetti e capire geneticamente se sono predisposti a una risposta terapeutica o meno.

Esistono anche degli inibitori del dominio catalitico del recettore.

Questi inibitori idealmente avevano un vantaggio, colpire anche quei soggetti in cui la stimolazione del recettore non dipende solo dalla presenza del ligando ma dalla presenza di una forma mutata, per esempio tronca, dell'N-terminale. In questo caso manca il substrato per l'anticorpo monoclonale, manca il dominio extracellualre. L'approccio era diminuire la funzione tirosin chinasica del recettore. È stato trovato il GEFITINIB. La strategia è sempre quella, inibire il legame dell'ATP al sito catalitico presente sul recettore EGFR. È impiegato tutti i giorni per via orale. Grande successo nella sperimentazione preclinica nei modelli animali, il farmaco viene approvato per il suo impiego clinico ma i risultati clinici sono deludenti. L'impatto sulla progressione della patologia e sulla sopravvivenza a 5 anni sono limitati, tale da far pensare a un fallimento di questo approccio. Gli studi di farmacogenomica sull'EGFR mettono in evidenza una varietà di possibilità in cui sono presenti delle mutazioni: non tutti i soggetti in cui il tumore dipende dall'attività di questo recettore sono identici. Molte di queste mutazioni sono limitate a due esoni (19 e 21) e sono particolarmente presenti in soggetti di sesso femminile, nelle popolazioni dell'est asiatico, nei non fumatori e solo in quelli che hanno istologia di tipo adenocarcinoma. Queste mutazioni hanno importanti ripercussioni sulla responsività alla terapia. Il GEFITINIB è una molecola che potrebbe sembrare poco utile, ma andando a valutare meglio il target e studiando queste mutazioni, ha consentito di curare un tipo di soggetti particolari.

Tumori del rene.

Rappresentano una percentuale importante, sono nella top 5 come incidenza. Molti di questi tumori sono associati (80% dei casi) a alterazioni di un gene, von-hippen lindau. Questo gene ha un'azione di tumor suppressor. Alterazioni su questo gene rimuovono l'effetto protettivo sulla trasformazione e rendono il soggetto predisposto alla formazione del tumore. Soggetti che possiedono un allele alterato di questo gene hanno una certa tendenza a sviluppare delle alterazioni precancerose nel rene, per esempio la formazione di cisti. Questo tipo di formazioni è notevolmente aumentata nei soggetti in cui tutti gli alleli sono alterati. In questi soggetti ulteriori mutazioni su loci diversi fanno precipitare la situazione verso una vera e propria trasformazione neoplastica. Non si tratta di un tumore ad origine monogenica. L'azione della proteina codificata da questo gene è quella di degradare il fattore di trascrizione HIF: si accumula tanto di questo fattore di trascrizione il quale andrà a far sintetizzare una serie di proteine, alcune chemochine, citochine (TGF-alfa, CXCR4, eritropoietina, VEGF, ecc); in pratica queste cellula cominciano a creare una nicchia biologica in cui lo sviluppo del tumore è favorito.

Aumentata eritropoiesi, aumentato metabolismo, stimolo alla proliferazione di tipo autocrino, ecc.

Cosa fare in questo caso? La possibilità sarebbe quella o di intervenire sul fattore di trascrizione, ma allo stato attuale è difficile creare molecole, o intervenire sulla trasduzione di questi fattori di crescita, ma si tratta di più fattori di crescita, quindi serve un inibitore che non sia troppo selettivo.

Tutto questo oggi è ottenuto impiegando SUNITINIB® e SORAFENIB ®. Sono inibitori di recettori per fattori di crescita ma hanno una selettività allargata: lo stesso farmaco è in grado di inibire sia VEGF che PDGF. L'impatto clinico però ha sempre il suo impatto negativo nelle resistenze che si sviluppano in questi tumori. Un meccanismo di resistenza importante sta nell'amplificazione degli effettori down-stream, di ciò che lavora un livello sotto quello dei recettori. In particolar modo la via di mTOR.

mTOR funziona formando due complessi distinti: il complesso 1 che ha dei substrati e il complesso 2 che ha come substrato principale la stessa proteina Akt. Un primo tentativo di curare le resistenze dipendenti da mTOR è stato quello di impiegare inibitori di prima generazione detti rapaloghi, perché analoghi della Rapamicina. Questi non sono inibitori dell'attività catalitica di mTOR ma servono a inibire la formazione del complesso 1. Quindi mTOR una volta che è coinvolta nel segnale di resistenza non potendosi associare con le proteine del complesso 1 formerà tendenzialmente più complessi di tipo 2 e in ogni caso questo ha un effetto tumorale. Questo tipo di terapia ha quindi insita una via di fuga per la cellula neoplastica. Proprio per questo sono di recente nati inibitori di nuova generazione che rispondono a quella strategia, cioè inibire l'attività catalitica utilizzando degli analoghi non idrolizzabili dell'ATP, analoghi che attualmente sono al vaglio di trial clinici.